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La fascite plantare: il vampiro dei corridori

17 Aprile 2017Riccardo Ageno
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-- GLI SPECIALISTI ITALIANI DELLE CALZATURE MINIMALISTE --

La fascite plantare: il vampiro dei corridori

É quasi passato un mese da quando il mio piede destro s’è ribellato.

Così, dal nulla, ha deciso di farmi pagare il fatto di averlo sfruttato troppo.

Per esser arrivato a correre in un anno soltanto da 0 fino ai fatidici 21 km su percorso collinare.

Il tutto partendo da un sovrappeso di 15 kg che sicuramente lui non ha apprezzato.

Una sera, mentre facevo le mie ripetute, con le mie scarpe comprate in un negozio specializzato, suggeritemi da un commesso specializzato, la mia fascia plantare ha deciso di farmi soffrire!

Un dolore lancinante sul lato esterno del piede, improvviso, inaspettato, e si torna a casa senza riuscire neanche ad appoggiarlo.

Seguono dolori giornalieri (che per fortuna sono calati, da insopportabili a leggeri fastidi)!

Esami diagnostici costosi e sedute di fisioterapia altrettanto costose!

Dopo un mese, ancora con l’incognita del “riuscirò mai a guarire totalmente?”

Ma siccome io sono uno che queste cose le ha studiate, e che nel mio piccolo le ho pure ricercate per 4 anni seppur applicate al lato opposto del corpo (apparato stomatognatico e sua correlazione con la postura del collo e dell’articolazione temporo-mandibolare), non mi sono accontentato di sentire chi mi diceva cose, ma mi sono messo a fare un po’ di ricerca.

Ricerca seria, articoli scientifici, non chiacchiere da blog!

Sono arrivato quindi alle mie conclusioni, che vorrei condividere con qualcuno per poter intavolare un dibattito costruttivo.

Cos’è la fascite plantare?

La fascite plantare è un’infiammazione della fascia tendinea che si estende dal calcagno fino all’inizio delle ossa delle dita del piede.

Dolorosa in fase acuta, ma soprattutto molto lenta a guarire nella fase post-acuta.

Il fastidio permane, e si parla di percentuali di guarigione di fasciti non croniche che ha una percentuale dell’80% a 6 mesi circa dall’inizio della terapia(1).

Oltretutto, ha un forte riscontro nella popolazione, dal momento che almeno 1 corridore su 3 è destinato a soffrire almeno una volta nella carriera di questa malattia(1).

Terapie per la fascite plantare in fase acuta

La terapia della fase acuta consiste in una terapia conservativa (ghiaccio, massaggi, ecc…) ed in varie terapie fisiche, alcune più efficaci ed alcune meno efficaci.

Tra quelle più efficaci, da segnalare le Onde d’Urto Focali, di cui ancora non vi è molta letteratura.

Secondo le review più affidabili e più recenti, è efficace nella riduzione del dolore acuto in maniera significativa già nei primi 3 mesi dall’inizio della terapia(2).

Questo la rendi di fatto, ad oggi, la terapia d’elezione per la cura della fase acuta della fascite plantare.

Terapie per la fascite plantare in fase post-acuta

Una volta risolta la fase acuta, il problema insorge nel mantenimento della situazione senza far insorgere di nuovo la malattia, ed è qui che la letteratura si divide.

Non è che esattamente si divide, in realtà la scienza sembra quasi brancolare nel buio.

E quindi, come è normale che sia, ogni medico e terapista dice la sua, seguendo le correnti di pensiero che gli sono state insegnate/imposte dal percorso di studi che ha fatto.

La corrente tradizionale

Arrivati alla risoluzione della fase acuta, esiste una corrente di pensiero tra i vari medici che prevede l’applicazione del famigerato plantare.

Addirittura vi è una corrente di pensiero che prevede le iniezioni di corticosteroidi nella fascia.

Ora, se le iniezioni di corticosteroidi sembrano ormai essere superate ed anzi classificate come potenzialmente dannose dalla scienza medica(3), sulla questione plantari si trova di tutto e di più.

Nonostante l’articolo più recente che si possa trovare su Pubmed riguardante fascite e plantari sia un articolo del 2015(4) in cui sono stati messi dei plantari personalizzati a pazienti giovani con una fascite cronica persistente da almeno 6 mesi e nel quale si sono ottenuti risultati molto buoni ma solo nel breve termine, risultato poco affidabile a mio parere dal momento che il vero problema della fascite è legato al mantenimento del benessere del paziente nel lungo termine, al momento l’unico articolo affidabile è una review(5) sulla terapia conservativa della fascite del 2006 in cui vengono analizzati i vari studi sull’applicazione di plantari come terapia di mantenimento della fascite.

Nello studio in questione, infatti, si sottolinea come fondamentalmente non vi siano differenze statistiche valide nella risoluzione della terapia usando plantari da banco (le normali solette al silicone che si comprano in negozio) e plantari personalizzati.

Mentre invece puntualizza come ci sia un significativo miglioramento se questi plantari (indifferentemente dal tipo) vengono associati ad esercizi di stretching per la fascia plantare.

Viene inoltre sottolineato come tutti gli studi presenti in letteratura abbiano degli evidenti limiti per una mancanza di follow up dei pazienti a lungo termine ed in conclusione suggerisce di affrontare la terapia della fascite dapprima con interventi low-cost e low-risk.

Riposo, stretching e massaggi sono l’inizio per mantenere stabile il quadro.

Questo studio del 2006 in realtà conferma ciò che viene affermato in due studi degli anni precedenti.

Uno in cui analizzando la letteratura sulla fascite plantare del 1999 si dichiara che, nonostante ci siano molti studi su questa patologia, nessuno di essi abbia delle statistiche valide e fornisca evidenza scientifica sufficienza per dichiarare consono un trattamento piuttosto che un altro(6).

L’altro, datato 2001, conferma il fatto che non vi siano differenze statistiche tra l’uso di plantari da banco, personalizzati o night splints(7).

Tutto questo, a mio parere, è dovuto a degli studi medici che non tengono conto della multifattorialità(1) della patologia in questione: non si può ridurre il tutto ad un possibile errore d’appoggio del piede correggendolo con un plantare.

Questo perchè la fascite plantare spesso e volentieri è dovuta ad una serie di cofattori(1).

Soprattutto nei corridori, questi fattori non sono solo di natura anatomica ma pure di natura dinamica, riguardanti la tecnica di corsa, la qualità delle scarpe, ecc…

La corrente minimalista

Qua arriviamo al proseguo della mia documentazione, nata dalla scoperta di questa corrente filosofica che, tengo a sottolineare, al momento resta solamente a livello teorico dal momento che, purtroppo, gli studi seri condotti in maniera scientificamente rilevante si contano sulle dita di una mano.

Nonostante il successo di libri come Born to Run, la corrente riguardante la corsa barefoot o minimalista purtroppo non ha attecchito nella popolazione.

In tutto il mondo al momento i corridori barefoot o minimalisti sono una percentuale bassissima nel numero esorbitante dei corridori amatoriali mondiali.

Questo rende difficile lo studio da parte dei medici riguardo ai pro ed ai contro della corsa naturale.

La ricerca del Dottor Robbins

Tutto ciò parte già da presupposti difficili da dimostrare, perchè se è vero che già nel 1987 Robbins aveva riscontrato una differenza evidente nella modifica dell’arco plantare in corridori che erano passati al barefoot(8). 

E che effettivamente nelle popolazioni che stavano scalze per motivi culturali non si riscontravano i tipici infortuni delle popolazioni che portano le scarpe(8), fascite plantare compresa.

La ricerca del Dottor Hatala

E’ anche vero che in uno studio più recente condotto su una popolazione dell’Africa che vive e corre senza scarpe, è stato visto che l’appoggio plantare durante la corsa non è solamente di avampiede o di mesopiede come si supponeva ma varia in maniera disomogenea, arrivando ad avere molta componente di retropiede in vari individui nonostante stiano correndo senza scarpe di alcun tipo(9).

Nonostante questa piccola contraddizione, qualcosa si muove.

La ricerca del Dottor Lieberman

Basta pensare all’articolo del 2010 del Dott. Lieberman(10), uno dei guru degli studi sulla biomeccanica della corsa umana, in cui son stati studiati i carichi che gravano sui piedi durante i vari tipi di appoggio in corsa con e senza scarpe.

Questo studio ha dimostrato come il loading rate è maggiore quando si atterra di tallone rispetto a quando si atterra sull’avampiede.

Cosa significa?

Significa che il peso assorbito dal piede durante la corsa fondamentalmente non cambia!

Ma nell’atterraggio di tallone ci mette meno tempo ad arrivare al massimo.

Mentre nell’atterraggio di avampiede la cosa avviene in maniera più lenta e distribuita, quindi meno traumatica.

La ricerca del Dottor Altman

Ma è nel 2015 che è uscito il primo vero studio serio che permette di paragonare in maniera corretta (quasi) la corsa barefoot con quella tradizionale(11).

In questo studio sono stati paragonati una serie consistenti di corridori barefoot a quelli con scarpe e la differenza nel numero d’infortuni non è stata statisticamente rilevante.

Però in realtà si è notata una differenza significativa nella tipologia d’infortuni:

  • Se i corridori con scarpe soffrivano in misura maggiore di problemi alle ginocchia, fascite plantare e sindrome della bandelletta ileo tibiale (nb: i più fastidiosi infortuni dei corridori, nonchè quelli più difficili da curare);
  • I corridori barefoot hanno evidenziato una maggior prevalenza di infortuni al tendine d’Achille, al soleo ed al tibiale posteriore.

Limiti di questo studio?

Purtroppo i corridori barefoot hanno dovuto affrontare un periodo d’adattamento al nuovo tipo di corsa!

Questo ha limitato il loro chilometraggio settimanale medio rispetto al gruppo di corridori con le scarpe di quasi la metà (24km vs 41km) e quindi rende leggermente meno affidabile la statistica.

Tuttavia, è importante sottolineare il fatto che, nonostante il minor chilometraggio, i corridori barefoot hanno presentato in misura minore delle patologie molto importanti.

Sebbene ci siano pochi studi a riguardo, si trova comunque qualcuno che si sta applicando per riuscire a sconfiggere questa piaga che è la fascite plantare.

La ricerca del Dottor Lemont

É abbastanza considerevole l’articolo del Dott. Lemont, chirurgo del piede, che nel 2003 dimostrò come, su 50 campioni estratti dal tessuto della fascia plantare che doveva essere infiammato, l’analisi istologica dimostrò che in realtà questo tessuto era degenerato e necrotico.

Questo, ipotizza il chirurgo, potrebbe essere dovuto all’utilizzo di scarpe che, modificando l’assetto dei muscoli della fascia plantare, ed in primis dell’abduttore dell’alluce, potrebbe comprimere il flusso sanguigno delle arterie che vanno ad irrorare la zona del piede situata direttamente davanti al tallone.

La ricerca del Dottor McClanahan

Di questo studio ne ha fatto grande tesoro il Dott. McClanahan, che di professione fa il Podiatra.

Il Podiatra è un medico chirurgo del piede, figura professionale specializzata attualmente non esistente in Italia.

In un suo articolo del 2007(13), il Podiatra analizza la letteratura scientifica riguardante quella che lui preferisce definire fasciosi (ponendo l’accento sulla natura degenerativa della patologia e non su quella infiammatoria).

Ed afferma che, per esperienza clinica, risulta molto importante rieducare il piede mettendolo in una posizione più naturale e togliendo i sostegni plantari che comprimono la zona della fascia plantare.

Così facendo, si riesce a ristabilire la circolazione sia per la decompressione sia per la rieducazione dei muscoli dell’alluce che ridistendono la fascia e riattivano la giusta circolazione della zona colpita.

Vi sono molti altri studi e casi clinici in rete, ma sono tanti, difficili da trovare ed a volte difficili pure da riassumere.

La ricerca del Dottor Lee

Ma uno di quelli che potrebbe confermare le teorie del Dott. McClanahan è uno studio molto recente(14) (2016) in cui sono state paragonate le forze muscolari esercitate da due muscoli (abduttore dell’alluce e tibiale anteriore) in pazienti con piede neutro e piede piatto durante l’esecuzione di due esercizi per i piedi.

In questo studio è stato dimostrato come i pazienti con il piede piatto abbiano, rispetto a quelli con piede neutro, una forza ridotta nell’abduttore dell’alluce ed una aumentata nel tibiale.

Questo dimostrerebbe il fatto che, in molti pazienti, il piede piatto (o comunque un problema alla posizione del piede non viziato da cause anatomiche predisponenti) possa essere semplicemente il frutto di una errata compensazione da parte dei muscoli di gamba e piede.

E quindi, sempre secondo questo studio, i pazienti con il piede piatto compensano la debolezza dell’abduttore dell’alluce con una maggior forza da parte del tibiale.

Le ricerche del Dottor Khowailed e Dottor Chen

E se questa patologia potesse essere risolta per mezzo del movimento?

D’altronde ci sono due studi recenti, del 2015 e del 2016, in cui rispettivamente si dimostra come solo in sei settimane(15) l’allenamento dei piedi con scarpe minimaliste diventi efficiente e come l’allenamento barefoot sviluppi una maggior forza dei muscoli del piedi e ne migliori la postura(16), risultando quindi una possibile riabilitazione.

CONCLUSIONI:

La letteratura scientifica è un gran bel miscuglio di idee.

D’altronde, la fascite plantare e gli infortuni della corsa in generale, sono difficili da studiare!

Questo perchè spesso sono dovuti a traumi da sovraccarico e di conseguenza da un’eziologia multifattoriale.

Quindi risulta difficile da risolvere soprattutto se si pensa di lavorare su una sola possibile causa, come si evince dal fatto che la terapia con plantari sia molto valida ma non sempre efficace, soprattuto nel lungo termine.

Sulla rete si trova di tutto: pro-minimalisti e pro-tradizionalisti!

Si scontrano in una battaglia fino all’ultima argomentazione che non trova nessuno vincitore perchè la scienza non dimostra un bel niente.

Tutto è giusto e tutto è sbagliato, ogni cosa ha dei pro e dei contro che secondo me è riduttivo ridurre a singole componenti.

La mia esperienza clinica e da ricercatore all’Università di Pisa nel campo della posturologia applicata all’Odontoiatria mi ha fatto arrivare alla conclusione che, purtroppo, la posturologia è una scienza dove dovrebbero collaborare più di uno specialista, dal Podologo (o se esistesse il Podiatra), all’Odontoiatra, per passare dall’Ortopedico al Fisioterapista transitando dall’Oculista e dallo Psichiatra.

Questo per dire che è molto difficile curare uno squilibrio posturale affidandosi ad una sola branca medica.

Ed io sto parlando di postura statica.

La corsa è un’azione dinamica, influenzata non solo dai difetti di postura statica del singolo individuo, ma da una serie enorme di fattori che vanno dalla qualità della scarpa (o dal suo uso) fino al tipo di terreno, dalla quantità e dalla qualità degli allenamenti fino alla giusta tecnica di corsa (sulla quale si potrebbe stare a parlare fino al 2030).

I forum di corsa pullulano di pazienti disperati a causa di fasciti che durano da anni, cronicizzate nonostante tantissime terapie che non solo non hanno funzionato, ma sono pure costate molti soldi e tempo.

Pazienti talmente vogliosi di correre che hanno preferito correre sul dolore, imparando a conviverci, pur di tenersi in forma.

Ci sono quelli che hanno risolto con la terapia convenzionale e quelli che hanno trovato nel minimalismo la soluzione.

Ci sono terapisti che stigmatizzano il minimalismo come il demonio e l’inutilità, ci sono corridori che lo esaltano come il bene supremo.

Io sono esterno perchè vengo da un anno di corsa con scarpe e due infortuni diversi e vorrei scoprire come funziona questo minimalismo e se effettivamente potrei trovarne un giovamento.

Di sicuro penso sia vero che una maggior cura dei dettagli per quanto riguarda la tecnica di corsa possano essere le basi per cominciare ad eliminare quei problemi di base che potrebbero portare allo sviluppo di una fascite plantare.

Come si può pretendere di analizzare un problema esistente guardando il corpo umano a compartimenti stagni?

Non è vero che se ho un problema al piede devo curare il piede e basta per risolverlo, perchè quel problema potrebbe essere nato a causa delle scarpe sbagliate, scariche, da una tecnica di corsa che non va bene, e perchè no, da un allenamento sbagliato.

Chi dice che l’esecuzione di ripetute per allenarsi non possa portare a dei problemi se queste non sono eseguite come si deve e nei momenti giusti?

Tutto questo fa pensare.

Fa pensare perchè per imparare un argomento bisogna studiarlo, bisogna inglobarlo e farlo proprio.

“Leggi un libro al mese sul solito argomento ed in 2 anni diventerai uno dei maggior esperti in materia”, diceva un noto motivatore americano.

Ed io credo che per imparare a correre nel modo giusto, scalzi o con le scarpe, bisogna studiare tanto: la corsa non è uno sport per tutti, come tanti vogliono credere, come le industrie produttrici di materiale da corsa vogliono far credere.

Il jogging è uno sport per tutti.

Ma come superi le tre ore di jogging settimanali e sconfini nella corsa, allora devi studiare, devi affidarti a qualcuno che ti insegni, e ti devi applicare.

Perchè si fa presto a mettere una zeppa sotto alla gamba del tavolino quando dondola, ma è molto più difficile capire perchè dondola, quel tavolino, e provare a risolvere il problema in maniera completa, anche a costo di metterci più tempo e dover sacrificare anni di allenamento.

Ma d’altronde, si sa, nel 2016 non c’è tempo da perdere. 

BIBLIOGRAFIA:

  1. Bartold S. – “The Plantar fascia as a source of pain – biomechanics, presentation and treatment“ – J of Bodyworks and Movement Therapies – 2004 – 8, 214-226

  2. Thompson J. et al. – “Diagnosis and management of plantar fasciitis“ – J Am Osteopath Assoc. – 2014 Dec – 114(12):900-6 

  3. Uden H. et al. – “Plantar fasciitis – to jab or to support? A systematic review of the current best evidence” – J Multidiscip Healthc – 2011 – 4:155-64

  4. Lewis R. et al. – “Orthotics Compared to Conventional Therapy and Other Non- Surgical Treatments for Plantar Fasciitis” – J Okla State Med Assoc – 2015 Dec – 108(12): 596–598

  5. Stuber K. et Kristmanson K. – “Conservative therapy for plantar fasciitis: a narrative review of randomized controlled trials” – J Can Chiropr Assoc – 2006 Jun – 50(2): 118–133

  6. Atkins D. et al. – “A systematic review of treatments for the painful heel”– Rheumatology (Oxford) – 1999 Oct – 38(10):968-73

  7. Martin J. et al. – “Mechanical treatment of plantar fasciitis. A prospective study” – J Am Podiatr Med Assoc – 2001 Feb – 91(2):55-62

  8. Robbins S. et Hanna A. – “Running-related injury prevention through barefoot adaptations” – Med Sci Sports Exerc – 1987 Apr – 19(2):148-56

  9. Hatala K., et al. – “Variation in Foot Strike Patterns during Running among Habitually Barefoot Populations” – PLoS One – 2013 – 8(1): e52548

  10. Lieberman D. et al. – “Foot strike patterns and collision forces in habitually barefoot versus shod runners” – Nature – 2010 Jan 28 – 463(7280):531-5

  11. Altman A. et Davis I. – “Prospective comparison of running injuries between shod and barefoot runners” – Br J Sports Med – 2016 Apr – 50(8):476-80

  12. Lemont H. et al. – “Plantar fasciitis: a degenerative process (fasciosis) without inflammation” – J Am Podiatr Med Assoc – 2003 May-Jun – 93(3):234-7

  13. McClanahan R. et Ingram G. – “Treatment of Plantar Fasciosis” – Naturopathic Doctor News & Review – March 2007

  14. Lee J. et al. – “Differences in the angle of the medial longitudinal arch and muscle activity of the abductor hallucis and tibialis anterior during sitting short-foot exercises between subjects with pes planus and subjects with neutral foot” – J Back Musculoskelet Rehabil – 2016 Nov 21 – 29(4):809-815

  15. Khowailed I. et al. – “Six Weeks Habituation of Simulated Barefoot Running Induces Neuromuscular Adaptations and Changes in Foot Strike Patterns in Female Runners” – Med Sci Monit – 2015 Jul 13 – 21:2021-30

  16. Chen T. et al. – “Effects of training in minimalist shoes on the intrinsic and extrinsic foot muscle volume” – Clin Biomech (Bristol, Avon) – 2016 Jul – 36:8-13

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Leggi anche: “Perchè le persone anziane cadono spesso?” del Dott. Riccardo Ageno
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5 commenti. Nuovo commento

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Adriano
18 Aprile 2017 13:59

E quindi Studi ed impari a correre, oppure ti rivolgi ad un professionista che ti insegna? Ma poi devo studiare pure come funziona la logica dell’allenamento che poi abbisogna di stile di vita, alimentazione e supplementazione. Buon viaggio.

Rispondi
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Paolo Iavagnilio
18 Aprile 2017 15:26

Ciao Adriano, lo studio è alla base di un approfondimento culturale, che ogni sportivo dovrebbe fare per sè stesso, per comprendere tutte le problematiche che stanno dietro ad un fenomeno.

Più che imparare a correre, che è importantissimo e dobbiamo affidarci quindi a chi può insegnarci, quale sia il modo corretto di farlo, credo che sia importante imparare a muoverci.

La sintesi di Riccardo sul problema fascite è stata molto approfondita, ma poi alla fine dei conti non si risolve i problemi studiando. Studiando si può comprendere come si manifesta il fenomeno, successivamente dobbiamo affidarci a chi è in grado di risolverlo. Le persone aggiornate non solo ti possono aiutare a risolverlo, ma possono tracciare un percorso di concause che lo hanno fatto scaturire, che solitamente, nella maggioranza dei casi sono multifattoriali.

Stili di vita sedentari, che necessitano da parte nostra di dover andare a colmare tutte le lacune di movimento che abbiamo accumulato negli anni, per citarne uno. Rieducazione degli schemi motori di base, per citarne un’altro. Come hai fatto notare anche tu, la nutrizione è importante. Credo che per ognuno di questi aspetti dobbiamo affidarci a chi ne sa più di noi, per poter raggiungere in maniera più veloce l’obbiettivo, visto che, chi certe cose le sà e le ha sperimentate non solo su stesso, conosce meglio di noi come il fenomeno si può manifestare a seconda dei soggetti.

Quindi è un viaggio si! Dove apri una porta e se ne aprono altre dieci. L’umiltà dovrebbe dirci che, quando impariamo qualcosa o la studiamo, comprendiamo che siamo sempre più ignoranti e quindi dobbiamo essere aperti per poter approfondire aspetti che non conosciamo; un solo professionista non può racchiudere tutto il sapere ed in questa ottica i professionisti del movimento dovrebbero collaborare, per non sconfinare in settori che non sono di loro competenza. Un viaggio che si affronta insieme, per cercare di avere un quadro sempre più chiaro della situazione.

Un caro saluto ed un Buon Viaggio a te. Spero che ci incontreremo in questo bellissimo Viaggio.

Rispondi
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Flavia Villa
24 Maggio 2017 11:33

Io amo correre da sempre. Nel 2012 ho resistito 6 mesi con un dolore al piede sx, pur di non fermarmi. Ma ho dovuto accettare l’inevitabile. Due anni e mezzo di stop totale. Non riuscivo a camminare. Ho cominciato a spendere. Ma mi sono fermata. Ho detto: mi passerà! Devo avere pazienza e non correndo più (un’assenza terribile per me) mi è passato. Un giorno ho deciso di rimettere le scarpe e uscire. Solo noi ci conosciamo e impariamo a conoscerci.

Rispondi
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Fabrizio
7 Aprile 2018 15:33

Ciao, ti racconto la mia esperienza con la fascite. Scarpe drop 12 e sovrallenamento nel luglio scorso. Chiudo una corsa da 16km con fascite al piede destro e stiramento al polpaccio sinistro. Ho 39 anni, corro da 9 anni, alto 1,87 per 72kg. Faccio sport e sono allenato. Mi fermo un paio di settimane e il polpaccio guarisce… ma appena comincio a correre la fascite ritorna e non riesco a fare 500m di fila. Durante le 2 settimane di stop mi ero informato sulle tecniche di corsa e sulla postura corretta, corsa di avampiede e mi sono imbattuto nel barefoot running…. visto il dolore che non mi faceva correre che ho fatto? Ho tolto le scarpe…. e ho corso con le calze in un prato. Dolore sparito! Non ci credevo… rimetto le scarpe e il dolore ritorna, le tolgo e non c’è! Sembra una storia da libro ma mi è successo veramente. Ho abbandonato il drop 12 e ho cominciato a informarmi e leggere. Per farla breve, a distanza di 6 mesi corro con le merrel drop 0, la fascite è sparita e sono più veloce di prima… un leggero fastidio al tendine d’achille che devo ancora rinforzare, ma con una corsa più efficiente ho abbassato di oltre 20 secondi a km il mio passo. Contro tutto e tutti che mi dicono che mi farò male senza ammortizzazione, io ho ritrovato il piacere di correre!!!

Rispondi
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Paolo Iavagnilio
5 Settembre 2019 17:21

Verdade irmao, o importante è ser seguido para professional que sabe resolver o problema.

Obrigado por sua resposta.

Fica com Deus!

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