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Dysevolution: il prezzo da pagare per la civilizzazione

7 Novembre 2016Emanuele Gambacciani
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-- GLI SPECIALISTI ITALIANI DELLE CALZATURE MINIMALISTE --

Dysevolution: il prezzo da pagare per la civilizzazione

Durante i miei studi in scienze biologiche mi è capitato qualche volta di imbattermi nella frase:

“Niente ha senso in Biologia se non che alla luce dell’Evoluzione”

Sarei un bugiardo se dicessi oggi che, al tempo, attribuii a questa frase la giusta considerazione e la giusta importanza che invece meriterebbe.

Ma poi, che cos’ è questa Evoluzione?

Bene, ho pensato di riportare “pari pari” il suo significato preso dall’enciclopedia più famosa del Mondo, Wikipedia:

“In biologia, con il termine Evoluzione, s’intende il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi viventi”

E’ un fenomeno complicatissimo da spiegare, ancora non sappiamo bene come effettivamente l’evoluzione agisca sui singoli individui, sulle singole specie e più in generale sugli esseri viventi.

Ma sappiamo per certo che è un processo inarrestabile che, in milioni di anni, ha premiato le specie viventi più adatte ad un determinato ambiente ed all’interno delle singole specie, ha premiato gli individui geneticamente più adatti all’ambiente, permettendo loro di trasmettere i propri geni alle generazioni successive.

Sia chiaro, l’Evoluzione non è un processo lento e costante, ma improvviso ed incostante.

Le specie si mantengono nel tempo poi, magari un catastrofico evento ambientale, cambia le carte in tavola, ed a quel punto solo chi è capace di “riadattarsi” più velocemente alla nuova situazione può sopravvivere…

Comunque, è l’ambiente circostante, l’ago della bilancia, è l’ambiente nella quale le specie si trovano a vivere, che determina il successo o l’insuccesso, è l’ambiente che determina chi vive e chi muore, è l’ambiente che detta le leggi, questo è abbastanza sicuro.

Secondo l’immaginario comune la nostra è la specie più evoluta, ma, se pensate questo, sappiate che non è assolutamente vero, noi non siamo nient’altro che il risultato del nostro percorso evolutivo così come la scimmia del proprio ed il delfino del proprio.

Ogni specie ha scelto il percorso più “congeniale” a quelle che erano le proprie necessità quindi possiamo affermare che non esistono specie più evolute e meno evolute.

Lieberman e la Dysevolution

Noi abbiamo però una caratteristica, siamo l’unica specie che negli ultimi 10.000 anni, dopo la scoperta dell’agricoltura e l’inizio della “civilizzazione”, ha subito un velocissimo processo, definito dal Prof. Lieberman, Presidente del dipartimento di biologia evolutiva, Dysevolution.

La “Dysevolution” non è un’involuzione, ma bensì un’evoluzione non avvenuta, non compiuta, un’evoluzione determinata appunto dai cambiamenti culturali e non dalla selezione naturale.

Il Prof. Lieberman afferma infatti che le nostre abitudini alimentari, sociali e culturali sarebbero (e continuano) a cambiare troppo velocemente rispetto ai tempi della Natura.

La nostra specie non da il tempo al corpo per abituarsi alle nuove scoperte, ai nuovi cibi, ai nuovi ritmi, alle nuove abitudini e quindi ci troviamo ancora imprigionati in un corpo da cacciatore-raccoglitore paleolitico, trapiantato ai tempi del fast-food, in un corpo di camminatore e corridore a piedi nudi, in un corpo di non camminatore e non corridore e per di più con l’utilizzo di scarpe.

Ci troviamo sbalzati nella civiltà della ricchezza alimentare, quando invece il nostro organismo è programmato per mangiare poco e poco frequentemente.

Ci troviamo ad affrontare ritmi frenetici quando il nostro corpo sarebbe progettato per oziare gran parte della giornata.

Siamo obbligati a vivere in città quando invece abbiamo sempre vissuto in piena armonia con la Natura.

Viviamo in un mondo troppo popolato, risultato dell’abbondanza alimentare comparsa con la scoperta dell’agricoltura, quando invece saremmo predisposti geneticamente per vivere in piccole tribù (o comunità) di massimo 150/200 persone.

Spero che questo semplice articolo possa far riflettere chi legge.

Mi auguro che chi legge si ponga, almeno per un minuto, il problema di quanto l’ambiente che abbiamo creato sia “inadatto” per la nostra specie.

Spero che chi legge capisca la necessità che ci sarebbe a fermarsi e tornare indietro, probabilmente abbiamo sbagliato tutto!

La chiamano civilizzazione, da oggi in poi la chiamerò Dysevolution!!!

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Leggi anche: “Torna a cacciare Homo Sapiens” del Dott. Emanuele Gambacciani
Dott. Emanuele Gambacciani

Dott. Emanuele Gambacciani

Presidente della Società Italiana di Medicina e Nutrizione Evoluzionistica
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Emanuele Gambacciani
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3 commenti. Nuovo commento

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Rocco Cardamone
16 Novembre 2016 18:39

Gentile Dott. Gambacciani; mi complimento per l’articolo, spero veramente faccia riflettere i più (oggi ci lamentiamo di parcheggiare a 30 metri dal posto che vogliamo raggiungere mentre sino all’avvento del treno ci siamo sempre mossi a piedi). Mi permetta di restare un pò perplesso circa la conclusione del suo articolo, non mi riferisco all’involuzione, ma all’abbiamo sbagliato tutto. In realtà no (dati alla mano), viviamo meglio e più a lungo, non come singoli ma come popolazione, i centenari sono sempre esistiti, almeno sino ad oggi. Il problema è come gestire questi benefici che ormai diamo per scontati ma che scontati non sono. Però dire che dobbiamo tornare indietro e che abbiamo sbagliato, no mi spiace, è una negazione dell’evoluzione. Sicuramente dobbiamo guardare al passato per migliorarci e non commettere errori ma si ricordi il passato a cui guardiamo è sempre un punto in avanti nel processo evolutivo da cui l’uomo è partito.

Mi scusi se mi sono dilungato.

Rispondi
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Emanuele Gambacciani
16 Novembre 2016 22:21

Grazie mille dei complimenti. Da un punto di vista antropologico l’aspettativa di vita non è però un parametro per descrivere lo stato di salute di una popolazione, ma è invece importante l’aspettativa di vita “sana”, ovvero in assenza di malattie. Purtroppo questo parametro si riduce sempre di più nel senso che le malattie croniche, quelle che caratterizzano cioè il Neolitico, compaiono sempre prima per poi accompagnarci per tutta la vita, che grazie a farmaci ed accanimento terapeutico, si è tendenzialmente allungata. Credo che nella società attuale ciascuno di noi non serva né vivo né morto ma fondamentalmente malato… possibilmente quanto prima. Spero di essere stato abbastanza chiaro anche se l’argomento meriterebbe un approfondimento che casomai trattero’ in qualche articolo successivo. Buona serata!

Rispondi
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Rocco Cardamone
17 Novembre 2016 12:26

Grazie della risposta, certo non sono argomenti che si esauriscono in 20 righe… buon lavoro.

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